| Che ne pensate del film super 8 Recensione Super 8 - la recensione del film di J.J. Abrams Tutto quello che è stato detto prima e dopo l’uscita di Super 8 nei cinema americani dai suoi realizzatori, corrisponde indubitabilmente a verità. Le dichiarate intenzioni di J.J. Abrams di realizzare un film che omaggiasse il filone giovanil-avventuroso nato sotto sotto l’egida creativa di Steven Spielberg tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta sono state tradotte in una pratica cinematografica che è sotto gli occhi di tutti, che non può essere negata. Vecchia volpe, il giovane re Mida di Hollywood (qui produttore, regista e persino sceneggiatore) è stato in grado di isolare in maniera quasi scientifica e laboratoriale gli elementi che hanno fatto l’identità di certo cinema direttamente e indirettamente spielberghiano, e di riproporli riassemblati in maniera tale da riuscire ad essere al tempo stesso tributo rispettoso e nostalgico e (ri)proposizione di un paradigma, nuovo e aggiornato per le generazioni più giovani che frequentano oggi le sale cinematografiche.
In qualche modo, Super 8 viaggia su un doppio binario, ovviamente e inevitabilmente parallelo, e dimostrazione ne è l’incipit. La presentazione dei personaggi e delle loro dinamiche interne ed esterne sembra infatti uscita di peso dal cinema di trent’anni fa (non a caso circa lo stesso periodo in cui si svolge l’azione), ma quando si arriva al momento cruciale dell’incidente ferroviario, ecco che l’occhio e la mano dell’Abrams consapevole delle esigenze del pubblico e del botteghino si fanno sentire, e le iperboli spettacolari dei blockbuster dei giorni nostri ci riportano fin troppo bruscamente ai tempi che viviamo. Da quel momento in avanti, Super 8 alterna un registro all’altro, contaminando,, tentando in ogni modo la sintesi perfetta. Ed ecco che le reminiscenze di E.T. e di Incontri ravvicinati si alternano ai fuori campo alieni di Cloverfield e ai misteri mostruosi del Guillermo del Toro del Labirinto del fauno, ed i giovani protagonisti del film sono costretti a vivere una costante alternanza di momenti intimisti e scene d’azione ad alto tasso di spettacolarità. E sarà anche per questa doppia natura, forse, che l’empatia tra “noi e l’altro” che caratterizzava i modelli spielberghiani qui non è mai completa: perché, per quanto vicini, due binari paralleli non s’incontrano mai, se non nell’infinito di una catastrofe che sarebbe la sintesi mancata cercata da Abrams.
Che l’attenzione per la storia e per i caratteri e le psicologie dei preadolescenti che racconta sia decisamente più efficace dei momenti cinematograficamente più contemporanei, dovrebbe essere un punto di merito non indifferente per il film di Abrams. E di certo lo è: proprio per questo guardare a un cinema (e a un autore) di cui vorrebbe essere erede, Super 8 diverte ed emoziona. Ma, per un paradosso del tutto evidente, proprio la sua operazione nostalgica (che non è vera riappropriazione né rielaborazione) e comunque compromissoria, finisce con l’evidenziarne la natura sintetica e mai realmente spontanea. Pur gradevole e da molti punti di vista lodevole, Super 8 è l’equivalente filmico delle riedizioni contemporanee di celebri sneakers dei decenni addietro. Scarpe quasi identiche, nell’aspetto come nello spirito, che però non saranno mai reali, oneste e imperfette come quelle di allora. A mettere la sordina al cuore emozionale del film di Abrams, che pure esiste, non è allora lo squarcio visivo e traente dell’effetto speciale né l’esplicitazione ruffiana come i lens flares tanto cari al regista: ma è proprio quella stessa ansia di perfezione nel calco che ne è l’origine. Ad Abrams è quindi sfuggito il modello Star Trek, tanto più riuscito quanto più identicamente distante dal suo originale. E quel cinema spielberghiano che Super 8 sfacciatamente ostenta era ricordato assai meglio e di più dal suo stesso autore nell’identicamente diastante – e drammaticamente sottovalutato – La guerra dei mondi.
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