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La leggenda di Sohria - Ali nere, 5° capitolo romanzo fantasy online

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view post Posted on 9/1/2012, 13:26     +1   -1




Vi presento il 5° testosteronico capitolo, denso di azione. Spero vi piaccia :)



Ali nere

La notte, nel deserto, non si potevano osservare né carovane, né viaggiatori. Nel deserto, la notte apparteneva ad altre creature, nascoste, sempre in agguato, padrone indiscusse di quel mondo silente, abbandonato dai colori luminosi del giorno. Quella notte era poco diversa dalle altre, e solo il più attento degli osservatori avrebbe potuto scorgere i celati contorni di una particolare figura oscura che solcava indisturbata i cieli.
“Quanto manca Elweng?” chiese Duhn.
“Poco” rispose Elweng, uno dei due suoi più fedeli sottoposti.
“Preparati a prendere quota, Melko: quando avvisteremo il castello dovremo essere del tutto invisibili” disse Duhn.
“Perfetto” rispose Melko, al comando della creatura alata.
Il trio Duhn, Melko ed Elweng, era conosciuto tra i soldati dell’impero come «le ali nere». Era una delle squadre speciali al servizio di Gangiorg, alla quale venivano affidate tutte le missioni più pericolose. Il comandante del gruppo, Duhn, era stato nominato da qualche anno generale delle truppe imperiali, ed era famoso più per la sua attitudine a prendere iniziative senza il consenso dei superiori, che per la fedeltà al suo ruolo. Era infatti risaputo come lasciasse svolgere la maggior parte dei compiti più noiosi ai suoi due più fedeli assistenti: Melko ed Elweng, per l’appunto. I due si erano conquistati il rispetto e il consenso dei pezzi grossi grazie alle loro peculiari abilità, e alle loro innumerevoli risorse in combattimento. Con il passare del tempo, e il susseguirsi delle loro imprese, le ali nere erano diventate un'icona, un punto di riferimento per chiunque si servisse di assassini, spie, e individui capaci di agire nell’ombra per soddisfare
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le proprie mire. All’interno della corte di Gangiorg erano abbastanza conosciuti: lì nessuno poteva ignorare i capelli lunghi e selvaggi di Duhn, i suoi occhi verdi, il suo atteggiamento irriverente; non passava di certo in secondo piano la figura di Melko: il lungo vestito nero, il codino, il ciuffo cadente sul volto, il corvo da caccia sempre appollaiato sulla spalla, e l'inseparabile violino, lo rendevano un personaggio piuttosto appariscente; di Elweng si sapeva poco: lo sguardo gelido, la stazza statuaria e l'imponente spada che portava con sé, riuscivano sempre a tenere lontane le domande dei curiosi.
Quella notte Duhn aveva per l’ennesima volta disubbidito agli ordini, ed era partito all’avventura insieme ai suoi fedeli compagni, nel tentativo di far luce sulla misteriosa faccenda dei prescelti.
“Siamo sicuri che il castello in cui l’hanno portata sia questo?” chiese Melko.
“Conosci meglio di me la risposta: si sa che quelle creature hanno a che fare con questo luogo” cominciò Duhn, “e poi le nostre fonti sono sempre state attendibili: se dovessero sbagliarsi proprio questa volta, non ci resterà che tornare indietro”.
“Prima di farlo dovremo comunque riuscire ad arrivare alle prigioni, e non ci vorrà poco: secondo la planimetria che ho recuperato, si trovano nel punto più distante da ogni finestra, o, comunque, da ogni possibile via d’uscita” aggiunse Elweng.
“Se solo il vecchio taccagno mi avesse affidato la missione, avremmo potuto avere più informazioni, e invece no: lo fa di proposito a tenermi sempre all’oscuro di tutto, mi mette alla prova” disse Duhn.
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“Non ti avrebbe mai tenuto fuori da una questione così importante senza un valido motivo” disse Melko.
“Infatti penso che questa situazione non sia poi così delicata come sembra” disse Duhn, “anche se, non l’avevo mai visto così teso e interessato come davanti a quello specchio”.
“Forse aveva solo paura che tu mettessi in qualche modo in pericolo i suoi piani, visti i precedenti…” disse Elweng, accennando a una risata.
“Certo, ho pensato anche a questo. Bisognerà trovare più indizi prima di parlare. Comunque, Melko, fai salire l’arròs’pigghiàto di quota: stiamo per arrivare” disse Duhn, accortosi delle piccole luci del castello in lontananza.
L’arròs’pigghiàto era uno dei gioiellini del trio ali nere: un’imponente creatura alata, utilissima per gli spostamenti, potente in combattimento, impossibile da individuare nel cielo notturno, indispensabile per la riuscita di ogni loro assalto e attacco a sorpresa. Aveva l’aspetto simile a quello di un enorme corvo, ma con alcune significative e inquietanti differenze: i suoi occhi erano tondi e gialli, semitrasparenti, capaci di infondere angoscia anche negli animi più coraggiosi; le zampe erano lunghe, disponevano di molte articolazioni, e di una buona capacità prensile; il becco era in proporzione più grosso, e affilato oltre la norma; la parte superiore del corpo era ricoperta da un’armatura composta da ossa di svariati animali, raccolte
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e saldate insieme dalla creatura stessa. In particolare, sul capo troneggiava un grosso teschio cornuto, trofeo guadagnato in seguito a una sanguinosa battaglia, o, forse, l’avanzo di un consistente pasto. La creatura disponeva inoltre di una forte volontà, e c’era chi diceva avesse anche dei poteri ipnotici; i tre non sapevano se fossero solo dicerie, oppure no, ma di una cosa erano certi: non era facile fare ubbidire l'arròs’pigghiàto ai loro ordini. Nel primo periodo in cui provarono a domare la creatura, non ottennero molti risultati, per questo Melko inventò un metodo che si rivelò poi molto efficace: somministrò alla creatura diversi filtri, e altri intrugli da lui creati, per farle provare lancinanti dolori; nei momenti di sofferenza estrema conseguenti all’assunzione di queste droghe, lui suonò il violino, molte volte, finché non riuscì a ottenere le azioni richieste. Così abbinò una diversa melodia a ogni comando impartito, e da allora, ogni volta che la creatura sentiva le note di quelle melodie, non poteva fare a meno di rivivere quei momenti di dolore, e in modo istintivo, per evitarli, ubbidire all’ordine.
Così, mettendo ancora una volta in pratica il suo metodo, Melko imbracciò il violino e cominciò a suonare: l'arròs’pigghiàto, udendo le familiari note, emise un gemito sommesso, quindi cominciò a sbattere le grandi ali nere in modo più veloce. Nel giro di pochi secondi si sollevarono di più di quaranta piedi. Da terra, della creatura era visibile solo un’ombra indefinita, capace di eclissare poche stelle alla volta.
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“Va bene ragazzi, ricordatevi: dobbiamo essere di nuovo fuori in venti giri di clessidra. Non so bene cosa potremo incontrare là dentro: voi tenetevi pronti a tutto” disse Duhn.
“Come sempre, d’altronde” aggiunse Melko.
“Perfetto” disse Elweng.
Dopo poco, Melko usò un'altra volta il violino, e la creatura cominciò a planare in discesa, per poi aggrapparsi con i suoi artigli a una delle finestre, poco sotto quelle dell’alta torre del castello.
Duhn scese per primo: balzò con agilità attraverso l’apertura nel muro, atterrò con una capriola sul pavimento, all’interno della camera, quindi scattò in piedi, estrasse i coltelli, e si mise in guardia. Osservò i dintorni, ma non notò nulla di pericoloso, né di interessante.
“Forza” disse, facendo un cenno ai suoi compagni.
I due scavalcarono la finestra, poi Melko suonò un’altra melodia, e l’arròs’pigghiàto si rialzò in volo, per presto scomparire nel cielo notturno.
“Bene, fine della parte rumorosa: d’ora in poi si fa sul serio” disse Duhn, portando l’indice vicino alla bocca.
Il grosso corvo appollaiato sulla spalla di Melko gracchiò, come in segno di protesta.
“Vale anche per te” gli disse Duhn, “Elweng, fai strada”.
Elweng estrasse da una tasca della sua tracolla una vecchia mappa cartacea, la esaminò per un po’, poi diede uno sguardo alla stanza, illuminata a stento da delle torce appese alle pareti, quindi fece un cenno col capo, riposò la mappa, e cominciò a camminare a passo spedito. Lo seguirono, e si ritrovarono davanti a una porta di metallo. Duhn provò ad aprirla girando la maniglia: chiusa. Non rappresentò comunque un valido ostacolo: lo stesso Duhn
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estrasse dalla tasca del suo pantalone una chiave dalla forma molto particolare, la infilò nella serratura, con delicatezza girò, e la porta si aprì. Si ritrovarono quindi in un ampio corridoio, che proseguiva sia dritto che su due diverse rampe di scale: una verso l’altro, una verso il basso. Elweng scese, e gli altri insieme a lui.
L’ambiente era piuttosto disadorno: soltanto mura di grigia pietra, e un lastricato polveroso. Nell’aria era distinguibile l’odore dell’olio bruciato, usato per mantenere le torce accese.
Ad attenderli, al piano di sotto, c’era un altro corridoio: diverse porte occupavano entrambe le pareti, e si udivano delle voci risuonare in lontananza; c’erano anche altre scale, che continuavano verso il basso. Elweng imboccò con decisione quest'ultime. Scesero ancora, e si ritrovarono in un ambiente più ampio, illuminato, da cui si diramavano ulteriori passaggi: sul pavimento si trovavano alcune borse e dei vasi, mentre appesi alle pareti vi erano dei mantelli e delle tuniche dai colori scuri. Melko cercò lo sguardo di Duhn, ma lui era troppo concentrato sui movimenti e sui rumori per potergli concedere attenzione. Elweng sembrò per un attimo indeciso sulla strada da prendere, ma poi, come ricordandosi, continuò dritto. Attraversarono il locale e si ritrovarono davanti a un’altra porta chiusa. Duhn guardò con rapidità dal buco della serratura, poi infilò la sua chiave universale, girò con cautela, e anche stavolta la porta si aprì. Erano arrivati a una sala speculare alla precedente.
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Senza indugi continuarono ad avanzare, fin quando non sentirono il rumore di un’altra porta aprirsi, e di passi che si muovevano nella loro direzione. In fretta indietreggiarono, e si nascosero in uno degli stretti corridoi secondari. Due uomini incappucciati, avvolti da ampie tuniche, percorsero al contrario i loro passi: non notarono nulla di strano, e scomparvero dall’ultima porta che i tre avevano aperto. Duhn, Elweng e Melko ne approfittarono per sgattaiolare fuori e proseguire.
Mentre avanzavano con cautela sentirono le voci dei due rimbombare da dietro: “ma non era chiusa questa porta?”, poi di nuovo silenzio. Elweng si voltò un attimo e guardò Duhn inarcando il sopracciglio. Lui rispose con una faccia indifferente, e lo incitò ad andare avanti.
Arrivarono ad altre scale, e anche stavolta proseguirono verso il basso. Al termine dei gradini, Duhn si mise in guardia, Elweng sollevò la spada, Melko imbracciò il violino: decine e decine di uomini-scheletro colmavano la vastità della sala. I tre rimasero immobili ad osservarli, e con stupore si accorsero che anche loro rimanevano immobili.
“Che?” disse Duhn, stupito da quell’insolita visione.
“Sono quelle creature scheletriche” sussurrò Melko.
“Ma sono ferme” disse Elweng.
Avevano un aspetto ancora più inquietante del solito: erano come delle statue, in piedi, chini su loro stessi, con le colonne vertebrali incurvate, le spade rugginose e gli scudi stretti in pugno. I loro occhi vuoti e spenti facevano pensare che la vita li avesse abbandonati per sempre.
“Sembrano addormentati” sussurrò Melko.
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“O morti, come d’altronde dovrebbero essere” commentò Elweng.
Gli uomini-scheletro occupavano la sala formando due gruppi composti, ognuno addossato a una parete. Lasciavano libera la parte centrale della stanza, in modo da consentire il passaggio.
“Non importa” disse Duhn, incoraggiandoli a proseguire in mezzo a loro.
Trovarono altre scale, poi altre stanze, e altri uomini-scheletro.
“E’ una specie di magazzino” sussurrò Elweng, “belle cose...”.
Scesero di altri due piani: nelle due sale corrispondenti trovarono diverse armi appese alle pareti, e lupi-scheletro, in condizioni non dissimili dagli uomini-scheletro già incontrati.
“Quanto manca, Elweng?” chiese Melko, con malcelata ansia.
“Dovremmo esserci quasi”.
Erano scesi abbastanza in basso: Elweng sapeva che le segrete si nascondevano lì da qualche parte.
Si trovarono davanti a un bivio, così si sporsero dagli angoli per scorgere quel che li avrebbe attesi nelle differenti direzioni: a sinistra Duhn vide diverse ceste e grandi contenitori, e una porta in fondo; sulla destra si poteva notare solo che il corridoio continuava in lunghezza. Decisero di proseguire a sinistra. Dietro la porta trovarono un’anticamera, che conduceva, tramite un’ampia rampa di scale, a una zona più luminosa. I tre si guardarono, e capirono di starsi allontanando dal luogo che cercavano. Duhn invitò gli altri due a tornare indietro.
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“Ehi, voi! Chi siete?”, una guardia incappucciata in cima alle scale li aveva scoperti, e aveva cominciato a sbraitare.
I tre riattraversarono la porta con estrema rapidità.
“Fermi” disse Duhn, rivolto ai suoi compagni, già pronti a correre via.
“Che vuoi fare?” gli chiese Melko.
“Le scatole” sussurrò Duhn, indicando i grossi contenitori notati poco prima.
Nel frattempo altre guardie erano accorse all’allarme, e già si affrettavano a trovare la chiave giusta per riaprire la porta, chiusa da Duhn. Quando riuscirono a passare, dei tre non c'era più traccia.
“Saranno saliti di là” urlò una delle guardie, e cominciò a correre verso i magazzini, seguita dalle altre.
Lasciarono il corridoio.
A un tratto, una delle scatole sul pavimento si mosse, per poi sollevarsi da terra: nascosto al suo interno c’era Duhn, che, dopo essersi ravviato i lunghi capelli, fece segno agli altri due di uscire allo scoperto.
“Che coglioni: ci cascano sempre” sussurrò.
“La prossima volta devo prepararmi in anticipo: ho rischiato di graffiare tutto il violino” disse Melko.
“Va bene, allora che facciamo? Ce la svigniamo?” sussurrò Elweng.
“Nemmeno per idea, andiamo di là” disse Duhn, proseguendo dall’altra parte del corridoio.
“Ma ci hanno scoperto!” sussurrò con veemenza Elweng.
“Siamo arrivati troppo vicini per potere rinunciare ora” rispose Duhn.
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Continuarono ad avanzare a passo spedito, girarono qualche altro angolo, e aprendo l'ennesima porta, arrivarono alle segrete. Tre guardie incappucciate li accolsero brandendo spade e ascia. Duhn conficcò uno dei suoi pugnali nello stomaco del primo, senza lasciargli il tempo di reagire. Elweng bloccò gli altri due con la sua spada, e diede così a Melko il tempo di eseguire una melodia: non appena ebbe finito, il suo corvo si alzò in volo, e sferrò due colpi in picchiata contro i volti dei due assalitori. Uno di questi fu solo ferito dall’attacco, e, stordito, non riuscì a contrastare i fendenti di Elweng, a causa dei quali cadde a terra senza vita. L’altro era rimasto vittima del robusto becco del corvo, e della coltellata che Duhn gli aveva con prontezza inferto tra le scapole.
“Penso proprio che, se continua così, dovrai pagarci gli straordinari” disse Melko, rivolgendo a Duhn un ghigno trionfante, mentre il grosso corvo ritornava sulla sua spalla.
Duhn non proferì parola. Scavalcò il cadavere ai suoi piedi, e cominciò a setacciare i dintorni con lo sguardo. Notò la presenza di diverse celle. Superò a passo lento la prima, poi la seconda, e infine, arrivato alla terza, si fermò.
“Finalmente ti abbiamo trovata” disse, tirando fuori la chiave universale.
All’interno della sudicia prigione, raggomitolata in un angolo, e avvolta in abiti ormai laceri, c’era la principessa Sophie. I suoi occhi verdi sembrarono tremare mentre guardava meravigliata la porta aperta della sua cella.
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‘Chi sono questi?’ si chiese, ‘hanno ucciso le guardie, hanno detto che mi stavano cercando, hanno aperto la cella: sono venuti a salvarmi!’
“Sophie, lo smeraldo d’onore: temo dovremmo rimandare a dopo i chiarimenti, perché adesso dobbiamo scappare” disse Duhn.
Le porse la mano e la tirò in piedi.
“Di qua via libera”, Elweng fece segno di raggiungerlo all’entrata delle segrete.
Sophie, accompagnata da Duhn, procedeva con passo malfermo: aveva perso le scarpe durante il rapimento in Cameminia, e da quando era stata rinchiusa si era sempre dovuta arrangiare a piedi nudi.
‘Il pavimento è freddo’ pensò, ‘spero che in giro non ci siano cocci di vetro o altro. In ogni caso, per ora la cosa importante è andare avanti’.
“Da questa parte, senza paura” disse Duhn, aiutandola a procedere.
Sophie si trovava lì da nemmeno un giorno, ma alla paura si era già abituata. Provò una certa sensazione di disgusto quando il suo piede venne a contatto con il sangue sparso sulla pietra del pavimento, ma quella percezione scivolò presto giù dalla sua mente, e non le pesò nemmeno per un istante.
“Dove andiamo ora?” chiese Melko.
“Sulla via fin qui fatta non ho visto finestre, e per chiamare il nostro amico pennuto ce ne servirà almeno una: dobbiamo tornare alle scale, lì, dove ci hanno scoperto” disse Duhn.
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In breve ritornarono alla biforcazione, dove in precedenza si erano nascosti. Riaprirono la porta per accedere all’atrio, e, non appena l’ebbero varcata, con disappunto notarono che qualcosa era cambiato: ad attenderli sulle scale c’erano cinque uomini, tutti incappucciati, per lo più armati. Uno di loro, un po’ più avanti degli altri, vestito di nero, indossava un bavaglio, e reggeva una massiccia spada dalla forma molto particolare. Sophie sussultò nel riconoscere l’uomo che aveva guidato l’assalto al tempio.
“Lasciate la ragazza. Se la lasciate subito, saremo indulgenti” sentenziò.
“No. Voi lasciateci passare” cominciò Duhn, puntandogli contro uno dei suoi pugnali, “se lo fate, noi saremo indulgenti”.
L'uomo poggiò la spada sullo scalino sotto di lui.
“Quanta arroganza. Quanta vanità. Sai con chi stai parlando?” disse.
“Se sei il capo di questo manipolo d’idioti, non mi importa” rispose Duhn.
“Basta, non mi va di sciupare fiato per tre stolti sul punto di morire. Questa discussione finisce qui” disse, facendo segnale ai suoi uomini di avanzare.
“La prossima volta parlo io” disse Melko, già pronto con il violino.
“Risparmia la diplomazia per quando saremo a casa, e preparati” disse Duhn, attento alle mosse nemiche.
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???
Comandante delle Forze Oscure
Il misterioso individuo aveva preferito non rivelare la sua identità. Qualunque fosse la natura del suo ruolo, era comunque facile intuire rivestisse una carica privilegiata all’interno del misterioso gruppo. Due dei suoi soldati, armati di spada, si fiondarono giù per le scale. Elweng avanzò per tenerli lontani, ma si rese conto che lo stare qualche gradino più in basso di loro lo svantaggiava nel combattimento. Per sua fortuna Duhn fu subito pronto a dargli man forte: lanciò dei coltelli da una postazione favorevole, e ferì lo stesso uomo, prima a una gamba e poi alla spalla. Sophie, in disparte, osservava la scena con disappunto.
‘Oh dei! Che devo fare?’ si chiese, ‘spero che se la sappiano cavare, perché io non posso fare nulla’.
I due uomini più in alto, avvolti in ampie tuniche scure, rimasti immobili fin dall’inizio, destarono l’attenzione di Melko, che scorse in loro dei movimenti sospetti.
“Attenzione! Quelli lassù sono maghi del fuoco!” avvertì Melko, sul punto di completare una melodia.
I due maghi erano infatti pronti a sferrare un attacco: in contemporanea lanciarono delle palle infuocate contro Duhn, il quale riuscì però a schivarle con prontezza. Il corvo di Melko intervenne, e mise i due maghi in fuga. Poi si scagliò contro il soldato già ferito, per dargli il colpo di grazia.
“Ora basta, avete scherzato fin troppo!” disse il comandante, e scagliò una palla infuocata contro Melko.
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Sophie impallidì quando vide quelle fiamme investirlo e avvolgerlo.
‘Oh dei! L'ha colpito!’ si disse, sentendosi venir meno.
“E adesso tocca a voi!” minacciò il comandante, rivolto a Duhn ed Elweng.
“E quando tocca di nuovo a me?” chiese Melko, riemergendo dal fuoco.
Il comandante incappucciato lo guardò sconvolto. Anche Sophie si sorprese di vederlo tornare in piedi, vivo, e senza più le fiamme addosso.
“La mia veste è realizzata con materiali ignifughi all’avanguardia: il tuo fuoco non potrà torcermi un capello” disse Melko, scostandosi il lungo ciuffo nero dal volto.
‘Come sempre fa lo sbruffone’ pensò Duhn, ‘deve stare attento a provocare così il nemico, anche perché si sa che il suo rimedio contro il fuoco non è efficace come dice. Perlomeno è riuscito a proteggere il violino dalle fiamme’.
“Stupidi!” esclamò il comandante, pronto a scagliarsi contro Elweng, “pensate davvero che riuscirete a uscire vivi da qui? Illusi”.
Elweng dovette fare appello a tutte le sue forze per contrastare l’impeto devastante della spada avversaria. Duhn lanciò un coltello al comandante, lo costrinse a scansarsi, e quindi a indietreggiare. In questo modo Elweng ebbe la possibilità di scattare a destra, e attaccare uno dei due maghi. Nel frattempo, il soldato armato di spada si era avvicinato in modo pericoloso a Melko, il quale attendeva però con calma il suo avvento: quando la distanza tra i due raggiunse il limite critico, il corvo apparve da dietro al
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soldato, e lo colpì, sbalzandolo in avanti. Melko ne approfittò per conficcargli nel ventre il suo appuntito e tagliente archetto. Sophie rimase stupita nello scoprire che lo stesso strumento che usava per suonare fosse anche un’arma. Melko lo estrasse dal corpo dell’uomo riverso sul pavimento, e, ancora insanguinato, lo usò per eseguire un’altra melodia, e impartire nuovi ordini al corvo.
“Tu, con le tue canzoncine mi hai fatto davvero incazzare!” disse il comandante, usando la spada per contrastare il corvo, e quindi avvicinarsi a lui.
“Occupati dell’altro mago” disse Duhn a Elweng, per poi avventarsi contro il comandante.
La grossa e pesante spada dalla forma triangolare stridette quando si trovò a stretto contatto con i due pugnali di Duhn.
“Fin troppo prevedibile” disse il comandante, fissando negli occhi il suo avversario.
Duhn si trovò sul punto di tendere tutti i muscoli del corpo nello sforzo di bloccare quel rapido fendente.
“Proviamo con qualcosa di più fantasioso allora” disse Duhn.
Senza pensarci su troppo, disimpegnò il pugnale stretto nella mano destra per tentare un affondo sul braccio fasciato del comandante. Egli riuscì a schivare il colpo, ma per farlo dovette arretrare, e scendere di qualche gradino. Melko allora gli si avvicinò con cautela, ma decise di tornare indietro quando lui cominciò a roteare la grossa spada in tutte le direzioni.
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“Voi tre potrete anche essere in gamba, ma non riuscirete in nessun modo a ostacolare i nostri progetti”, il comandante era circondato.
“Mi dispiace, ma tu non saprai mai se ci riusciremo o meno” disse Duhn, avvicinandosi con attenzione.
“Eh eh. Voi non sapete, ma presto gli scheletri si risveglieranno, e vi verranno a sbranare qui, senza indugio” disse il comandante.
Il fuoco ardente delle torce sulla parete stagliava le sagome dei quattro come ombre negli occhi di Sophie, la cui mente era offuscata dal vorticare di miriadi di pensieri funesti.
‘Quel tizio è troppo forte per loro!’ pensò, ‘è disumano!’.
“Arrivano altri soldati” annunciò Elweng.
Un gruppetto di quattro guardie armate di spada aveva aperto la grande porta in cima alle scale.
“Occupiamocene noi” rispose Melko.
Come un fulmine il comandante si lanciò su Duhn: tentò un fendente, fallì, allora girò su se stesso e provò un colpo basso, facendo saettare la lama rasente al pavimento. Grazie ai suoi riflessi, Duhn fu pronto a evitare l’attacco con una capriola all’indietro. Riatterrò qualche gradino più in basso, sfoderò la sua spada dalla punta ricurva, e fu subito in grado di parare un altro colpo (in un altro contesto, questo tipo di arma flessibile, a taglio singolo, lavorata con argilla, verrebbe chiamato «katana»).
“Speravo di non doverla usare” disse Duhn.
I due incrociarono le spade più volte: dopo un primo scambio, il comandante si rese conto che la velocità dell’avversario lo avrebbe presto messo in difficoltà.
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Infatti, in poco tempo, quando anche le ultime guardie furono messe al tappeto, si ritrovò spalle al muro. Fu la spada di Duhn a trafiggerlo. Il braccio avvolto dalle fasce svolazzanti perse le sue forze, e lasciò cadere sul pavimento la grossa arma.
Il tonfo stridente del metallo coprì i suoi ultimi gemiti.
“Adesso filiamo via” disse Duhn, riponendo la spada.
Sophie li raggiunse sulle scale, gettò uno sguardo al corpo del comandante, poi insieme continuarono a salire.
“Per te quello che ha detto quel tizio è vero?” chiese Melko.
“Dici degli scheletri? Spero di no” rispose Duhn, trascinando Sophie per una mano.
Oltre la porta c’era una sala con dentro due lunghi tavoli di metallo, forse una mensa. C’erano due uscite. I quattro scelsero la più vicina: oltre questa si trovava un altro lungo corridoio, senza nemmeno una finestra.
“Ancora non ci siamo. Stiamo seguendo la direzione giusta Elweng?” chiese Duhn, senza smettere di correre.
“Secondo quello che ricordo della mappa, dovremmo quasi essere arrivati all’ala sud-est del castello” rispose.
“E lì ci sono vie di uscita?” chiese Duhn.
“Forse delle finestre”.
Si ritrovarono a un altro crocevia: c’erano rampe di scale verso l’alto, verso il basso, e un corridoio di fronte a loro.
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“Abbiamo compagnia!” disse Melko, indicando alla loro destra.
Degli uomini-scheletro stavano scendendo le scale, e ad accompagnarli c’erano due maghi.
“Presto!”, Duhn incitò gli altri a fare più in fretta.
Da sopra le scale i maghi attaccarono con diverse sfere infuocate, ma non mirarono su Duhn, bensì su Melko ed Elweng: il primo riuscì a evitare il colpo, il secondo invece sbagliò tempismo, ma riuscì a pararsi all’ultimo secondo con la spada.
“Me la sono vista brutta!” esclamò Elweng, con in mano la spada ancora avvolta dalle fiamme.
Attraversarono il corridoio, e si ritrovarono in un locale attiguo alle mura esterne: c’erano delle finestre. Senza indugiare oltre, Melko cominciò a suonare, e in breve l’arròs’pigghiàto fu a loro disposizione, aggrappato con gli artigli a una delle finestre.
“Vai per primo, Melko” esclamò Duhn.
Melko scavalcò quindi la finestra, atterrò sul dorso dell’enorme volatile, ne prese le redini, e si tenne pronto.
Nella stanza fecero irruzione dei lupi-scheletro. Duhn sguainò la spada, aspettò che il primo si avvicinasse, poi gli trafisse il cranio con un affondo. La creatura però non sembrò indebolita in modo significativo dal colpo.
“Dobbiamo mettere al sicuro la principessa!” esclamò Elweng.
“No, a lei non torceranno un capello, vai prima tu!” disse Duhn, fermo davanti a Sophie per farle da scudo.
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“Tutti tuoi!” disse Elweng, e dopo avere sbaragliato uno dei lupi-scheletro con un portentoso colpo di spada, saltò giù dalla finestra.
Le creature all’interno della stanza erano intanto diventate più numerose. Sophie, spaventata, si era già arrampicata sul cornicione della finestra, e sembrava pronta a saltare.
‘Dobbiamo scappare subito! Dobbiamo saltare subito giù! E’ l’unica speranza!’ pensò.
Uno degli esseri tentò di azzannare Duhn, ma lui si difese con la spada.
“Andiamo! Che aspettiamo?” lo incitò Sophie.
“Un attimo solo”, Duhn tirò fuori dalla veste un oggetto rotondo, dalla consistenza legnosa, “morite creature del demonio!” esclamò, poi premette una sporgenza sulla superficie dell’oggetto e lo lasciò cadere sul pavimento.
Si gettarono giù insieme, e atterrarono sull’arròs’pigghiàto.
“Schizziamo via di qui!” disse Duhn a Melko.
“Non avrai mica…” cominciò Elweng.
L’arròs’pigghiàto si allontanò in planata dal castello di una quarantina di iarde, e a quel punto il fragoroso rombo di un’esplosione li travolse: l’oggetto che Duhn aveva lasciato all’interno della fortezza era una bomba chimica, frutto delle ricerche di un gruppo di alchimisti imperiali. Sophie si voltò a guardare, e notò, quando i bagliori glielo permisero, che la parete esterna era ridotta a un cumulo di macerie fumanti.
‘E‘ esploso tutto!’ osservò, incredula.
“Questo dovrebbe bastare a fermare quei cosi” disse Duhn.
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“Sei un pazzo!” gli disse Melko, compiaciuto.
“Siamo stati grandiosi: tutto alla fine è andato a meraviglia” riconobbe Elweng.
“Sì, devo ammettere che sono contento che tutto sia filato liscio, anche se abbiamo corso dei rischi inutili più di una volta” disse Duhn, reggendosi con forza alle maniglie della grossa sella posta sul dorso del volatile.
“Se ti riferisci a quella palla di fuoco, ti posso assicurare che tutto era sotto controllo” chiarì Melko.
“Ragazzi, vi sono infinitamente grata per ciò che avete fatto” disse Sophie, con una voce tra il commosso e lo sconvolto, ‘questi coraggiosi giovani hanno rischiato la vita per portarmi al sicuro! Devo loro la vita’.
“Di nulla Sophie, è solo il nostro lavoro” rispose Duhn.
“No, sul serio: siete stati fantastici. Io non so quanto altro tempo sarei resistita là dentro: era pieno di quelle creature orribili, nessuno parlava, mi hanno trascinata fino lì con la forza, imbavagliata, bendata, e non avevo idea di cos’altro mi avrebbero dovuto fare”.
“L’importante è che adesso è tutto finito. Prima che venga l’alba saremo di nuovo entro i confini imperiali” disse Duhn.
Sophie, aggrappata con forza alla sella, con il vento che le scarmigliava i capelli e le strappava dagli occhi qualche lacrima, rimase ad osservare affascinata la sagoma appena visibile al chiaro di luna del suo salvatore: Duhn. Non sapeva nulla di quel giovane uomo, e non lo aveva mai visto prima, ma in quel momento era certa che le parole non sarebbero mai bastate a esprimere la gratitudine nei suoi confronti.
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20

‘Quel Duhn è il migliore! Quando torneremo a casa, chiederò a mio padre di investirlo della nomina di cavaliere onorario’ si disse.
Anche gli altri due avevano quasi i suoi stessi meriti, ma non erano stati loro a tenerla per mano durante il tragitto, a parlarle, a proteggerla, a gettarsi nel vuoto insieme a lei. Pensò che non avrebbe mai dimenticato quei momenti, quella notte.
“C’è qualcosa di strano” intuì Melko all’improvviso, guardandosi intorno.
“Cosa?” chiese Duhn.
“Abbiamo luci, Elweng?” chiese Melko.
“No, solo una lanterna, ma non ci servirà a niente quassù”.
Prima che qualcun altro potesse parlare, qualcosa urtò con violenza l’arròs’pigghiàto. Sophie gridò, Elweng imprecò. Il volatile cadde nel vuoto per qualche decina di piedi prima di ricominciare a planare.
“Che cos’era?” chiese Melko, sgomento.
“Non lo so, con il buio non si è visto nulla!” ammise Duhn.
“Qualunque cosa fosse, ha colpito qua, sul lato destro” fece notare Elweng.
Tutti si guardarono intorno senza riuscire a scorgere nulla. Il silenzio della notte era però stato sostituito da un rumore di ali.
“Si vede nulla?” chiese Melko.
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21

“No, niente. Anzi, aspetta! C’è qualcosa sopra di noi” esclamò Elweng.
Prima che gli altri avessero il tempo di notarlo, degli artigli afferrarono l’arròs’pigghiàto sul lato destro. La creatura, sfuggita al comando di Melko, emise un gemito di dolore, subito seguito da un verso gracchiante, poi cominciò a sbattere le ali e a dimenarsi per liberarsi dalla presa del misterioso assalitore. I quattro, osservatori impotenti, non poterono far altro che assistere all’avvento di un altro paio di artigli, che afferrarono il lato sinistro del volatile, e contribuirono a rallentare la loro caduta. Sophie provò a stringersi con tutte le forze all’appiglio della sella, ma, a un certo punto, a causa dei movimenti violenti e imprevedibili ai quali erano soggetti, fu costretta a mollare la presa con le gambe. Duhn la vide in pericolo, e si sporse per trattenerla. Nel frattempo sembrava che altri due artigli avessero stretto la loro morsa sulla carne dell’arròs’pigghiàto, impedendone sempre più la capacità di movimento. Precipitarono, sempre più in giù, poi, a un tratto, il grande volatile riuscì a liberarsi da una delle prese, e a tendere l’ala per sfruttare la resistenza dell’aria. Il cambio improvviso di direzione sbalzò Sophie fuori, e con lei anche Duhn. Quando Elweng si accorse che stavano cadendo, era già troppo tardi per fare qualsiasi cosa.






Fine del capitolo. Ci si rivede il prossimo lunedì. Ma se volete, potete visitare il sito "Bozzroom - La leggenda di Sohria", e scoprire molti contenuti extra, e nuove storie sui personaggi che già conoscete.
 
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