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La leggenda di Sohria - Degenerazione, 6° capitolo romanzo fantasy online

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view post Posted on 16/1/2012, 14:42     +1   -1




6° capitolo - Degenerazione

Il primo dei due soli stava per sorgere da dietro gli sparuti monti al confine est del territorio imperiale. L’incerta luce del mattino cominciò pian piano ad irradiare il paesaggio: la sabbia, le sterpaglie, i sentieri, le baracche e le case circostanti, si tinsero ancora una volta dei loro usuali colori.
Juneh, in fuga dai pericoli della sua città, aveva continuato a camminare insieme a Tera per tutta la notte, sempre con addosso la tunica dell’invisibilità.
Quando il primo raggio di sole la colpì, portò un braccio sopra gli occhi per ripararsi.
“L’alba” cominciò Tera, con voce bassa e distaccata, “spesso associata a eventi positivi”.
Juneh si fermò.
“Cosa c’è?” le chiese Tera.
“Niente: volevo solo sapere quanto manca ancora. Sto cominciando a stufarmi” disse Juneh, in segreto ancora afflitta dal dolore alla schiena.
“Ci credo: abbiamo camminato per molto. Comunque siamo quasi arrivate: ciò che stiamo cercando si trova in una di queste casupole”.
“E cosa sarebbe ciò che stiamo cercando?”.
“Il mezzo che ci porterà alla fortezza dei custodi, dove potremo proteggerti”.
“Custodi? Sarebbe la vostra organizzazione?”.
“Sì”.
“Che ha il compito di proteggere me e Sophie?”.
“Tu e Sophie non siete le uniche: ci sono altri prescelti, sparsi nel mondo. Noi veniamo a conoscenza solo a volte delle vostre identità. Il problema è che, quando succede, anche l’impero e le forze oscure possono individuarvi, e cercare di catturarvi”.
“E perché voi volete difenderci?”.
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1

“Perché, se cadeste nelle mani dell’impero, potrebbero accadere cose terribili: non mi addentro nei particolari perché è una faccenda davvero complicata. Posso solo dirti che la collaborazione di voi prescelti con l’impero potrebbe addirittura causare la fine del mondo”.
“La fine del mondo dici?”, Juneh si tolse la tunica dell’invisibilità di dosso, “questa è la storia più insensata che abbia mai sentito, anche più illogica di certe parabole religiose. E la cosa più assurda è che io dovrei essere una delle protagoniste di tutto questo gran casino!”.
“Perché ti sei tolta la tunica?” la ammonì Tera.
“Caldo” rispose secca lei, “tanto non c’è anima viva nei paraggi”.
“Non dire così: quelle fattorie potrebbero essere abitate. Ho capito: vieni, mettiamoci un attimo dietro quel colle”.
Si appostarono all’interno di un piccolo avvallamento, ancora in ombra a causa dell’inclinazione solare. Tera estrasse dalla sua tunica una borraccia, e la porse a Juneh. Lei accettò, e, senza dire una parola, bevve un sorso d’acqua, poi si asciugò con un lembo della veste bianca, e trasse un sospiro.
“Sai? Pensavo di darti una cosa, ma devi stare attenta a non perderla” disse Tera.
“Promesso. Dai, cos’è?”.
“Questo”, le porse un ciondolo.
Juneh lo prese in mano, e cominciò a esaminarlo: legato a un semplice filo di canapa c’era un cristallo trasparente, dalla forma appuntita e allungata.
“Wow! E’ un cristallo come quello che hai usato stanotte per illuminare la via” disse Juneh.
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2

“Esatto. A prima impressione potrebbe sembrare un semplice gingillo, ma in realtà possiede il potere di immagazzinare la luce”.
“Ma, scusa, sono capace di usarlo anch'io?”.
“Perché no? D'altronde sei una chierica: in genere la gente dedita alle pratiche spirituali è portata per questo genere di cose. Vedrai che attraverso la concentrazione e l’esercizio della volontà potrai padroneggiare le sue virtù. In fondo non è difficile da usare”.
Juneh chiuse gli occhi, provò a concentrarsi, ma non riuscì a ottenere alcun risultato, a parte quello di scoprire di essersi morsa la lingua.
“Concentrazione ed esercizio. Vedrai, prima o poi…” disse Tera.
“Come mai hai deciso di regalarmelo?”.
“Ho pensato potrebbe tornarti utile. Se lo carichi abbastanza, puoi anche rilasciare un raggio di luce così potente da accecare. Se dovessi trovarti in difficoltà, in guai dai quali non potrò tirati fuori…”.
“Ti ringrazio”.
Juneh legò il ciondolo al collo, e la comunicazione tra le due si interruppe. Sapeva che non avrebbero ricominciato a parlare presto, ma le andava bene così.
Indossarono ancora una volta le tuniche dell’invisibilità, poi si incamminarono verso una direzione precisa. Durante il tragitto notarono che la maggior parte delle case nei paraggi erano disabitate, e solo in due o tre di quelle che incontrarono poterono osservare segni di vita: bestiame di vario genere radunato in recinti di pietra grezza, attrezzi da
lavoro appoggiati alle pareti delle abitazioni, lamu da
soma. ___________________________________________________________

3

Quando arrivarono in prossimità del luogo, Tera fece un cenno. Juneh alzò lo sguardo, e notò sulla sommità di un colle un qualcosa di scuro. Fin da quel primo avvistamento, Tera si rese conto che qualcosa non andava. Quando si avvicinarono abbastanza, infatti, scoprirono che dell’edificio che cercavano erano rimaste solo delle macerie bruciacchiate.
“Non pensavi di trovarlo in questo stato, o sbaglio?” disse Juneh.
“Non pensavo, ma dovevo aspettarmelo: dentro questa costruzione doveva esserci un mio socio. Ho cominciato a preoccuparmi ieri quando non sono riuscita a contattarlo per via telepatica”.
“Per via telepatica?”.
“Sì, possiamo comunicare a distanza: poi in caso ti spiego. Per adesso ho bisogno di pensare: voglio proprio capire come dovremo cavarcela ora”.
“Perché? Il tuo socio teneva il mezzo di trasporto lì dentro?”.
“Esatto. Lì dentro, dove ora ci sono solo detriti e cenere, doveva esserci una fenice”.
“Che cosa sarebbe?”.
“Un grande rettile piumato, molto simile a un imponente uccello. Avremmo dovuto usarlo per volare via da qui”.
Entrambe rimasero senza parole, ferme. Dopo poco, Tera si tolse la tunica dell’invisibilità, e cominciò a frugare tra la sporcizia sparsa lì intorno. Juneh fece lo stesso, ma si stancò presto, e si sedette sopra una rudimentale panchina di roccia.
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4

“Cosa dovrebbe essere successo?” chiese.
“Potrebbero essere successe tante cose. Sembra che, in ogni caso, abbiano dato fuoco alla costruzione, e l’abbiano demolita. Forse è opera dei banditi” disse Tera, affannata, “questa proprio non ci voleva”.
“Potremmo chiedere spiegazioni a qualcuno del luogo. Oppure dovremmo rassegnarci al pensiero di non avere più questa fenice, e trovare un modo alternativo per raggiungere il vostro covo”.
“L’impero ti da sempre la caccia, però, in fondo, ci troviamo in un luogo di periferia, in cui le notizie non arrivano con molta velocità…Non so, potrebbe comunque essere rischioso chiedere informazioni. D’altro canto, la fortezza è troppo distante perché possiamo raggiungerla con mezzi convenzionali”, Tera si tolse il cappuccio, liberando i fluenti capelli castani, “esistono delle altre postazioni nel deserto, dove altri miei soci tengono in serbo delle fenici: potremmo provare a raggiungere una di quelle. Rimane comunque da capire come, visto che la più vicina dovrebbe trovarsi a circa quattro giorni di viaggio da qui, e intendo quattro giorni di marcia con i lamu, non a piedi”.
“Bene. Mi pare non ci siano molte alternative”.
Rimasero ferme per un po’ a pensare, fin quando l’inconfondibile scalpitare di zoccoli in lontananza destò la loro attenzione. Si alzarono in piedi sulla sommità della collina sabbiosa, e notarono un carro in viaggio su di un sentiero in fondo al pendio.
“Va nella direzione giusta?” chiese Juneh.
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5

“Giusta? Se intendi la direzione che dovremmo seguire, sì, è quella giusta, ma non sappiamo…” cominciò Tera.
“Dai” la interruppe Juneh, “penso sia un’occasione da cogliere al volo!” disse, e cominciò a scendere.
“Può darsi” mormorò Tera, tentennando solo un attimo prima di seguirla.
Le ruote del carro, dentate, e dalla dura consistenza legnosa, lasciavano sulla sabbia le tipiche impronte discontinue, affiancate da quelle degli zoccoli dei due lamu. Questi, guidati dal conducente, rappresentavano la forza trainante dell’intero complesso.
Nella struttura, la zona posteriore era riservata ai passeggeri: offriva protezione dal sole grazie a un telo di pelle grezza, di colore viola, molto chiaro, sorretto da delle strutture ricavate da ossa animali, poco flessibili, conferenti al padiglione un aspetto spigoloso.
“Scusi!” esclamò Juneh, affrettandosi incontro al carro.
Il carovaniere, baffuto, e avvolto dalla testa ai piedi in un manto beige, alzò lo sguardo, quindi tirò le redini per fermare i lamu.
“Grazie, molto gentile” disse Juneh, dopo essersi avvicinata.
“Non così tanto come sembra. Ma ditemi: come può un corriere errante come me essere utile a due giovani come voi? Volete un passaggio?”.
“Sì, se possibile. Voi dove siete diretto?” chiese Tera.
“Datemi pure del tu! Comunque sia, farò tappa al villaggio Archiloco, per poi arrivare alla città di Serafari: vi interessa?” chiese.
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6

“Sì, in realtà noi siamo dirette al villaggio Pyrasa, però accettiamo volentieri anche di fermarci a Serafari: servirà ad avvicinarci” disse Tera.
“Dovete raggiungere Pyrasa quindi? Devo ricontrollare i dispacci, perché forse dovrò passarci anch'io” disse il conducente.
“Davvero? Perfetto, allora” disse Juneh.
“Sì, vedremo cosa si potrà fare. Voi nel frattempo salite: non è il caso di indugiare oltre visto il viaggio che ci attende” disse il carovaniere.
“Grazie ancora”, Juneh salì sul retro del carro.
“E’ stato fin troppo cortese: penso ci farà pagare se vogliamo arrivare fino a Pyrasa” sussurrò Tera, subito dietro Juneh.
Una volta a bordo, si resero conto che avrebbero trascorso il viaggio in compagnia: all’interno dell’abitacolo trovarono infatti due uomini, un giovane, e una ragazza.
Lo schiocco sordo delle redini segnò la loro partenza. Le due ragazze, fin dal primo momento, avvertirono un certo imbarazzo, e cominciarono a chiedersi se quelle persone conoscevano le loro identità, e se sapevano dell’impero che dava loro la caccia.
A interrompere lo sgradevole silenzio, fu il giovane dal lungo ciuffo di capelli castani.
“Anche voi dirette a Serafari?” chiese.
“No, a dire il vero no” rispose Juneh.
“Ah, pensavo che anche voi voleste iscrivervi all’accademia”.
“L’accademia di Serafari? Ne ho sentito parlare diverse volte: pare sia un bel posto” disse Juneh.
“Sì, per quanto ne so, lo è davvero. Sono qui appunto per accompagnare mia cugina, che ha deciso di iscriversi” disse, indicando la bella ragazza bionda seduta accanto a lui.
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La ragazza fece un timido cenno con una mano, e abbozzò un sorriso. La sua figura emanava quella che si sarebbe potuta definire «un'aurea di fresca dolcezza», o di «splendente armonia», dovuta soprattutto alla finezza dei suoi lineamenti, alla lucentezza della pelle e dello sguardo. Per comprendere le sensazioni che la sua immagine era in grado di suscitare, ogni osservatore avrebbe comunque dovuto soffermarsi con attenzione sulle sue fattezze: aveva dei lunghi capelli chiari, brillanti, mossi in modo da formare onde di svariate sfumature dorate; sul suo volto, sempre rilassato, trovavano posto due candide guanciotte, sopra le quali splendevano due occhietti dal colore incerto; quest'ultimi potevano tingersi dell'azzurro dei cieli più tersi in alcuni momenti, del verde speziato di rari pascoli in altri, o del grigio freddo della pietra, a seconda di ciò su cui si posavano e di ciò che riflettevano. Indossava una maglia color sabbia, dalle maniche molto ampie, serrata sotto il petto da una lunga gonna ariosa, verde scuro, tendente al grigio: un colore incerto almeno quanto quello dei suoi occhi. Questa era stretta da una soffice fascia bronzata, e decorata con una fantasia a ghirigori squadrati e alcuni simboli runici dello stesso colore. Stringeva tra le mani quello che aveva l’aria di essere un copricapo: era di stoffa, dello stesso verde spento della tunica, e aveva due estremità a punta, con appesi due piccoli oggetti tondeggianti di metallo, simili a sonagli.
“Comunque, ho dimenticato di presentarmi: il mio nome è Dan, l'acquamarina brillante” disse, “e lei è Helis, l’acquamarina del sole”.
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8

Juneh rammentò a se stessa di mentire per quanto riguardava la sua identità.
“Io sono Futura, l’opale di armonia” disse.
“E io sono Tera, l’opale di armonia: siamo sorelle” disse Tera, 'così sarà più facile ricordare i nomi' pensò.
“Davvero? Non l’avrei mai detto: non vi somigliate molto. Forse io e mia cugina Helis siamo più simili” disse Dan.
“Insomma, mica tanto” disse Juneh, sorridendo.
“Ma dai! Abbiamo lo stesso taglio degli occhi: fiero e orgoglioso” disse Dan, scherzoso.
Helis gli rivolse uno sguardo infastidito.
“Non credo proprio: tu hai pure gli occhi scuri, mentre lei azzurri” disse Juneh.
“E poi lei ha le guance più rotonde” aggiunse Tera.
“Più o meno come te, Tera” disse Juneh.
“In effetti sembrate tu e Helis le sorelle!” scherzò Dan.
“Io? Ma, davvero?” rispose lei, tastandosi il volto.
La conversazione continuò con la stessa lena per un po’. Presto si presentarono anche gli altri due uomini, rimasti zitti in un primo momento. Sembrava si stessero recando al villaggio Archiloco per barattare del latte.
“E’ una vita che non bevo un bel bicchiere di latte di caprecora! In città dove stavo non se ne vedeva spesso” disse Juneh.
“E’ colpa delle tasse di importazione. Tieni, prendine un sorso” disse uno dei due uomini, porgendole un’ampolla.
“Davvero? Grazie!”.
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9

Si erano addentrati da poco nell’immensità del deserto quando, a un tratto, delle urla di battaglia, accompagnate dallo scalpitare di zoccoli in lontananza, interruppero la loro tranquillità.
“Che cos’è?” chiese Tera.
Dan si sporse a guardare dal retro del carro.
“Banditi” disse.
“Davvero?” chiese Helis, spaventata.
Juneh sbiancò.
“Ci mancava solo questa” disse Tera, irritata.
Dan andò avanti per avvertire il conducente, il quale si era comunque già accorto della minaccia.
Tera si alzò per andare a osservare la situazione: diversi uomini, alcuni a cavallo, alcuni sui lamu, seguivano il carro da entrambi i lati. Brandivano asce e spade, e urlavano in modo primitivo.
“Vogliono assalire il carro” disse Tera, quasi con distacco.
“Che cosa facciamo quindi?” chiese Juneh, in agitazione.
“Bastardi, sudici bastardi! noi sgobbiamo una vita per procurarci questa merce: non possono portarcela via” disse uno dei due uomini.
Tera si tolse il cappuccio.
“Sarà meglio passare al contrattacco” disse.
“Helis!” esclamò Dan tornando tra loro, “tu stai ferma qui, io cercherò di contrattare con loro” disse, mentre stringeva l’elsa della lunga e sottile spada arcuata che portava legata alla cinta (anche questa, come la spada di Duhn, verrebbe classificata come «katana» in un altro contesto).
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“No, Dan, cosa fai? E’ pericoloso: meglio rimanere qui” disse Helis, allarmata.
“No Helis, scusa, ma mi ero ripromesso che sarei riuscito a portarti a Serafari. Ci arriveremo sani e salvi” disse, per poi ritornare sulla parte anteriore del carro.
“Dan!” lo richiamò invano Helis.
“Non ho ben capito cosa vuole fare, ma tranquilla: lo coprirò io” le disse Tera, estraendo dalla veste delle sfere grigie, fatte di un materiale soffice e lanoso.
“Tera può aiutarci” disse Juneh, forse nel tentativo di rassicurare anzitutto se stessa.
Dan, nel frattempo, era balzato su uno dei due lamu che trainavano il carro, ne aveva preso le redini, e aveva virato verso i banditi. Il conducente, per non fare sbilanciare il carro, era stato costretto a spostare al centro l’unico lamu rimanente sotto il suo controllo.
“Tuo cugino sta andando incontro ai banditi” affermò Tera in tono meravigliato.
“Perché…” si lamentò Helis, coprendosi il volto con le mani.
“Dai, dai, tutto si risolverà”, Juneh le si avvicinò.
Dan con un abile manovra riuscì ad affiancare uno dei banditi.
“Prendete le mie rupie, ma lasciate stare loro! Ne ho molte!” esclamò Dan, rivolto all’uomo alla sua sinistra.
Il bandito, indossante una bandana di stoffa, e un sudicio panciotto ridotto in brandelli, gli lanciò un’occhiata torva, poi cercò di colpirlo con l'ascia. Ma Dan fu pronto a schivare, e ad estrarre la sua spada d’acciaio.
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“Se è questo che vuoi, questo avrai” disse, lanciandosi contro di lui.
Tera, quando vide come tergiversavano le trattative, lanciò contro l’orda le sue sfere lanuginose: sembrava che grazie ai suoi poteri riuscisse a controllare la loro traiettoria e velocità.
‘Che cosa sta facendo?’ si chiese Juneh.
La risposta non tardò ad arrivare. Le sfere, una volta liberate nell’aria, presero fuoco, e divennero delle vere e proprie fiamme fluttuanti. Tera le usò per colpire gli aggressori e le loro cavalcature: una colpì un lamu, e in poco lo incendiò del tutto, costringendo colui che lo cavalcava a saltare giù; un’altra colpì uno dei banditi, che si gettò a rotolare sulla sabbia.
La maggior parte delle palle infuocate andò a segno.
Nel frattempo, Dan stava eseguendo una serie di rapidi attacchi in velocità, grazie all’agilità della sua cavalcatura, e della sua spada.
Juneh, spettatrice impotente della cruenta battaglia, fu sorpresa da un improvviso tremore.
“Tera è una maga! Allora abbiamo delle possibilità di farcela!” disse uno dei due uomini sul carro.
Helis, dopo essersi asciugata una lacrima, si scostò i capelli dalla faccia per poter vedere ciò che la giovane donna stava facendo.
“Adesso che il fuoco li ha spaventati posso inventarmi qualcosa di più interessante” disse Tera.
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Sembrò concentrarsi, e non staccò lo sguardo dai banditi nemmeno per un attimo. Juneh cominciò a osservare il particolare uomo che secondo lei Tera stava fissando: nel giro di pochi attimi la spada di quest'ultimo si arrugginì del tutto, per poi sgretolarsi e diventare polvere nel vento.
“Incredibile! La spada di quell'uomo si è polverizzata” esclamò Juneh, notando l'espressione sgomenta del bandito.
“Ma questa è stregoneria!” disse uno dei due uomini.
“Alchimia, arti mentali, non stregoneria. Questa è scienza: l'ossidazione del ferro è un processo naturale del tutto spontaneo” spiegò Tera, “io ho soltanto catalizzato la reazione: mi è bastato scagliare a gran velocità le particelle d'ossigeno presenti nell'aria contro l'arma per trasformarla in polvere di ruggine”.
“Fantastico, è una tecnica invincibile allora!” esclamò Juneh.
“No, non funziona sempre” rispose Tera, continuando a polverizzare le armi degli aggressori, “il ferro è facile da ossidare, ma ci sono metalli molto più resistenti. Il caso estremo è quello dell'oro, invulnerabile a questa tecnica”.
Continuò a distruggere una ad una le spade e le asce dei banditi, ma questi tirarono fuori dalle tasche coltelli e altre armi di riserva, senza dar segno di voler demordere.
Tera si mise di nuovo a frugare nella sua veste.
“Sono tanti, e non hanno intenzione di ritirarsi. Userò questo” disse, estraendo una boccetta ripiena di un fluido verdastro.
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13

La stappo’, e con la mano sinistra fece uno strano gesto, in seguito al quale, il contenuto dell’ampolla si alzò in volo, e prese la forma di un nugolo di gocce verdi.
“Cos’è?” chiese uno dei due uomini.
Tera non rispose: era troppo impegnata a dirigere il nembo di gocce contro gli assalitori.
“Le basta usare il pensiero per comandare le gocce” disse l’altro uomo.
La miriade di gocce si abbatté contro i banditi: le loro urla di sorpresa e di dolore certificarono l'efficacia della tecnica.
“E’ una pioggia acida!” disse uno dei due uomini sul carro.
“Esatto, è un potente acido, capace anche di perforare la pelle” spiegò Tera, mentre osservava gli effetti del suo attacco.
“Terribile” disse Juneh, esterrefatta.
Dan fu stupito nel vedere gli avversari cadere a terra in preda a spasmi di dolore senza che, in apparenza, nulla li avesse colpiti.
'Chissà che sta succedendo' si chiese, 'nell'aria ci sono delle minuscole goccioline: forse sono quelle...Dev'essere un altro trucchetto di Tera, non c'è dubbio. Immagino che abbia fatto attenzione a non colpire me, visto che sono ancora tutto intero'.
Nonostante tutti gli sforzi di Tera e Dan, i banditi continuarono a sopraggiungere numerosi.
“Sono troppi!” esclamò Dan, tornato in prossimità del carro.
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14

Alcuni banditi, muniti di arco, cominciarono a scagliare frecce infuocate contro di loro: una di queste colpì la tenda che ricopriva il carro.
“Ci hanno colpito, Tera!” esclamò Juneh, indicando il punto in cui il tetto stava bruciando.
Tera usò quindi i suoi poteri per scatenare un piccolo vortice sopra di loro.
“Un po’ di vento dovrebbe sistemare tutto” disse.
Le raffiche da lei create riuscirono a disperdere le fiamme, e ad evitare l’incendio.
Intanto Dan si era riavvicinato, seguito da decine di uomini che lo minacciavano con le armi in pugno.
“Presto ci saranno addosso” disse.
Tera esibì un’espressione pensosa, poi disse: “proviamo con questo: Dan avrò bisogno del tuo aiuto”.
“Cosa dovrei fare?” chiese lui, avvicinandosi all’apertura sul retro del carro.
“Prendi queste bottigliette, e stappale, poi versa il loro contenuto sulla sabbia in modo da formare una linea che ci divida da loro” esclamò Tera, lanciandogli le ampolle.
“Va bene” disse Dan, pronto a mettersi all'opera.
Percorse una traiettoria rettilinea, che separava il carro dagli uomini in avvicinamento.
Prima ancora che avesse finito di cospargere tutto il liquido trasparente sulla sabbia, Tera decise di entrare in azione: per mezzo dei suoi poteri accese il liquido infiammabile, e innalzò una vera e propria barriera di fuoco. Dan fu costretto a gettare la bottiglietta, prima che esplodesse tra le sue mani.
I banditi sembrarono disorientati da quella manovra, e si fermarono, costretti anche dalle cavalcature, spaventate dalle fiamme.
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15

“Così guadagneremo del tempo prezioso” disse Tera.
“Ottima idea!” disse Juneh.
Tre uomini erano comunque riusciti ad evitare il muro di fiamme, e stavano continuando ad avanzare, sempre più vicini a loro. Una freccia raggiunse il lamu di Dan, lo atterrò, e fece ruzzolare lui sul terreno.
“Dan!” esclamò Helis.
“Hanno colpito il suo lamu” commentò uno degli uomini sul carro.
“Avete delle armi? Ha bisogno di aiuto!” esclamò Juneh, rivolta a tutti gli occupanti dell’abitacolo.
“No, Futura, è pericoloso intervenire!” la ammonì Tera.
“Non ne abbiamo in ogni caso: ci dispiace” disse uno degli uomini.
“Io ho un coltello!” disse poi il conducente, voltandosi verso di loro, porgendo l’arma.
Nel frattempo, un’altra freccia infuocata colpì il padiglione.
“Cosa vuoi fare Futura?” chiese Tera, vedendola correre con il coltello verso di lei.
“Dan ha fatto di tutto per proteggerci: dobbiamo aiutarlo!” esclamò Juneh, gettandosi, senza pensarci due volte, giù dal carro.
“Ma che cos’ha in mente?” esclamò Tera, furiosa.
“Ha ragione: dobbiamo aiutarlo. Fermate il carro!” disse uno dei due uomini.
“Tanto sta andando a fuoco. Io la seguo” disse Tera, gettandosi anche lei giù dal carro.
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16

La barriera infuocata aveva spaventato la maggior parte dei banditi, ormai in ritirata: solo tre di loro osteggiavano ancora Dan, rimasto a piedi, con la spada sguainata, e la guardia alta.
“Tenete le mie rupie e andate!” disse, gettando la sua sacca verso i tre.
“Non ci servono le tue rupie: vogliamo solo il tuo sangue” rispose uno di loro.
“Hai fatto a pezzi i nostri compagni, e ora devi pagare, brutto bastardo” disse un altro.
Dan esitò. Li guardò negli occhi: uno di loro stava già tendendo l’arco, e lo teneva sotto mira con una freccia; un altro, piuttosto nerboruto, era sceso da cavallo, e si stava avvicinando a lui con un’ascia in mano; il terzo era rimasto sul suo lamu, ed esibiva, insieme a uno sguardo fiero, una spada, stretta in pugno.
“Sono tutto vostro” disse Dan, sprezzante del pericolo.
Il bandito scagliò la freccia, ma Dan riuscì a evitarla con prontezza, poi parò il colpo d'ascia del secondo uomo, e contrattaccò, ferendogli la spalla. Il terzo bandito scese dal lamu, e si avventò anch’egli contro di lui: incrociarono le spade, e, dopo un duro confronto di forze, Dan fu costretto a indietreggiare. Juneh, seguita da lontano da Tera, aveva corso fino ad allora, ed era quasi riuscita a raggiungerli. Dan fu stupito di vederle arrivare, ma non lo fu per più di un attimo, poiché tutta la sua concentrazione era impegnata nel combattimento. Proprio in quel frangente, una freccia lo colpì allo stomaco.
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17

“Dan!” urlò Juneh, sconvolta.
Nonostante il danno subito, Dan riuscì a racimolare le energie necessarie per pararsi da un altro colpo d'ascia: l'impatto tra le due armi gli fece però perdere la presa sulla spada, che cadde a qualche piede di distanza da lui. Tera usò una palla infuocata per colpire l’uomo con l’ascia che stava per sferrargli il colpo di grazia. Il bandito, in preda al panico, cominciò a rotolare in mezzo alla sabbia. Nel frattempo sopraggiunse Juneh, che raccolse la lama di Dan, e si scagliò con furia contro il bandito armato di spada.
“Cosa vuoi fare ragazzina? Non scherzare con queste cose” disse l’uomo, parando un suo fendente.
“Allora tu stai indietro!” urlò lei, muovendogli la spada contro.
Il bandito si fermò, e si interrogò su come gestire la situazione: la ragazza lo minacciava, il giovane era chinato su di sé, con la freccia nello stomaco, e la maga stava sopraggiungendo. Decise di ritirarsi: indietreggiò, risalì in fretta sul lamu e iniziò ad allontanarsi. Il suo compagno scagliò un’altra freccia, che colpì Dan nella schiena, poi scappo’ via anche lui.
“No! Bastardi!” urlò Juneh, correndo in soccorso di Dan, “Dan! Dannazione!”.
“Calma, calma!” disse Tera, arrivata vicino a loro.
“Tera, curalo! Curalo! Dannazione!” urlò Juneh, con il viso contorto in una smorfia di dolore.
“Calmati, adesso vedo cosa si può fare!”.
Gli altri erano appena scesi dal carro ormai in fiamme quando Tera si accorse che Dan era morto.
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18

“Non c’è più nulla da fare” disse, china sul suo corpo.
“E’ morto?” chiese Juneh, in ginocchio, sconvolta, pronunciando ogni sillaba con incredulità.

Il vento caldo continuò a soffiare lieve per tutto il resto della giornata. I banditi, nella fretta della fuga, avevano lasciato indietro alcune delle loro cavalcature. Tera curò le ferite di un cavallo, e di un paio di lamu: insieme a quello rimanente al carovaniere, li usarono per spostarsi lontano da lì, ma solo dopo avere sepolto le spoglie di Dan.
Usarono una roccia, trovata lì, in mezzo alla sabbia, come lapide. Helis, raggomitolata su sé stessa, pianse davanti ad essa per molto tempo.
'Dan, mi dispiace. Nulla di questo sarebbe mai accaduto se fossi rimasta al mio posto' pensò Helis, 'ti sarò grata in eterno per tutto quello che hai fatto, e mi dispiace che aiutarmi ti sia costato così tanto. Se fossi rimasta al mio posto, forse avrei causato meno dolore'.
Quando Juneh si avvicinò per conficcare la spada di Dan accanto alla lapide, Helis la fermò. All’iniziò non riuscì a proferire alcuna parola, e si limitò solo a tirarla per la veste. Dai caldi occhi scuri di Juneh sgorgarono altre lacrime. Si chiese perché le stesse impedendo di deporre lì la spada.
“Non lasciarla qui: andrebbe perduta” cominciò Helis, parlando con difficoltà, “tu sei stata coraggiosa, Futura: devi tenerla”.
Juneh non riuscì a risponderle. Si rialzò in piedi, e andò via, con la spada stretta in mano.
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19

‘E’ successo tutto troppo in fretta, e nemmeno stavolta sono riuscita a evitare che le cose andassero per il peggio’ pensò, ‘ma cosa può fare un misero essere umano come me per fermare tutto questo?’.
Ancora una volta la sabbia si era tinta di rosso, e una nuova pietra si era aggiunta al cumulo: quella lapide, come molte altre, sarebbe stata presto dimenticata.
 
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