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La leggenda di Sohria - Deviazione, 9° capitolo romanzo fantasy online

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view post Posted on 5/3/2012, 11:26     +1   -1




Era mattina presto, e il silenzio imperava ancora indisturbato nel villaggio Archiloco. Nemmeno gli uccelli diurni del deserto avevano ripreso la loro attività, e solo un orecchio avvezzo ai suoni più fini si sarebbe potuto accorgere di un incerto sciabordare, provenire dal bagno dell’unica locanda del paese.
Juneh, con il volto imperlato d’acqua, rimase per un po’ a fissare il ciondolo di cristallo pendere dal suo collo, e fendere con la punta il contenuto della ciotola. Dopo qualche istante di esitazione, accantonò i pensieri, e rimmerse le mani per continuare a rinfrescarsi il viso.
Era arrivata lì la sera prima insieme a Tera, che continuava a controllare e programmare i suoi movimenti, e a Helis, che aveva deciso di viaggiare con loro finché avrebbero proseguito verso la città di Serafari.
Era stata proprio Juneh a invitarla a restare con loro. Tera si era invece dimostrata in qualche modo contraria nei confronti di quest'iniziativa, anche se non aveva protestato in modo esplicito. Ma Juneh lo aveva capito subito: era abituata a cogliere i segni della riluttanza.
Quando ritirò le mani, l'acqua nella bacinella cominciò a riflettere la sua immagine: la luminosità dei suoi scuri occhi non lasciava in alcun modo trasparire le sofferenze dell'anima accumulate in quei vent'anni di vita (nota chiarificante: è da considerare che in ogni anno ci sono otto mesi, e ogni mese comprende circa quarantotto giorni, e che ogni tre anni vi è un anno bisestile, e, allo stesso tempo, ogni due ve n'è uno trisestile. E' inoltre da notare che ogni tre mesi si aggiunge lo scarto quadratico medio del tempo impiegato dalla luna a compiere il suo ciclo di
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rivoluzione apparente, ovviamente per correggere l'esatta durata dell'arco di tempo che il pianeta impiega nel suo movimento rotazionale. Il periodo qui citato sarà comunque chiaro in termini spazio-temporali qualora si calcoli la media ponderata del numero di giorni in un mese, e la si sommi alla radice cubica di n, moltiplicata per il numero di Don Piero, ove n indica il numero di meteore entrare nell'orbita gravitazionale del pianeta, diviso per il numero di caprecore munte in un anno, elevato a x, considerando che la x indica il punto in cui è stato seppellito il tesoro).
Nella sua mente scorrevano ancora le immagini truci della morte di Dan, e di tutti gli altri eventi del giorno precedente. Il pensiero di essere accorsa in suo aiuto troppo tardi e di non essere riuscita a evitare la sua morte continuava a tormentarla, senza lasciarle tregua. Si voltò, e iniziò a incamminarsi verso la stanza adiacente, quando, all'improvviso, scorse un silenzioso movimento aldilà della finestra priva di vetro. Si recò quindi sul terrazzo, e scese la rampa di scale di pietra visibile dal bagno.
A quel punto avvertì un suono indistinto provenire da dietro un angolo. Il primo dei due soli era sorto da poco, e in giro per le strade non si vedeva nessuno. Trovò quindi strano che qualcuno si aggirasse in quel modo furtivo per l'ostello, e per alcuni istanti rimpianse di non aver sceso dalla camera la spada del defunto Dan.
Prima che potesse decidere quale azione intraprendere, la fonte dei rumori imprecisati rivelò la sua natura: una volpe apparve alla base delle scale. Juneh ebbe poco tempo
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per ammirare la sua fulgida pelliccia color sabbia, poiché l'animale si trattene solo il tempo sufficiente per rivolgerle un profondo sguardo con i suoi occhi neri, poi fuggì via.
“Strano vedere una volpe spingersi fin qui in città: avrà trovato del cibo” disse Tera, apparsa in cima alle scale.
“Tera! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò Juneh.
“Io ti ho fatto prendere un colpo? Non sono io quella che all'improvviso è scomparsa dal letto su cui stava dormendo”.
“Cosa vuoi? Ho avuto un brutto sogno. E poi sono soltanto scesa: non penso sia un'azione così avventata” protestò.
“Lo so, ma devi capire: abbiamo dovuto affrontare già anche troppe complicazioni, preferirei non dare al destino occasione di crearne delle nuove”.
“Stai tranquilla, ché l'Autore le occasioni le trova. E poi, se non avesse avuto in serbo per me delle «complicazioni», non mi avrebbe neanche invischiato in quest'assurda storia!”.
“L'Autore? Cosa intendi?” chiese Tera, perplessa.
“Ah...scusa! A volte dimentico che non tutti conoscono il lessico religioso: secondo il nostro credo, l'Autore è il creatore dell'intero universo, ed è in un certo senso accomunato al destino, per com'è inteso nell'immaginario comune”.
“Ah, avrei dovuto aspettarmelo. In realtà non mi sono mai interessata molto alla cultura imperiale”.
“Capisco. Tu non vivevi nell'impero, vero?” chiese Juneh.
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“No, anche se in realtà quest'ultimo anno ho vissuto lì, nei pressi di Cameminia: sai, a ognuno di noi custodi è stata affidata un'area ben precisa da controllare” spiegò Tera, scrutando l'ozioso paesaggio cittadino.
“Wow, allora ci tenete davvero molto a questa faccenda dei prescelti”.
“Lo sai già il perché: la posta in gioco è molto alta”.
“Se lo dici tu...”.
Juneh era ancora scettica nei confronti di quanto affermava Tera. Tuttavia non poteva negare di essere stata aggredita dalle misteriose creature scheletriche, né di avere visto i cavalieri di viverna imperiali setacciare le strade di Cameminia. Ma stavano davvero cercando lei? Davvero era una delle prescelte che avrebbero potuto causare la distruzione del mondo? Da che cosa dipendeva tutta quella situazione? Da chi o da che cosa erano selezionati i prescelti, e per quale ragione?
Nella mente di Juneh, simili dubbi erano ancora in attesa di risposta: per questo decise di fare a Tera alcune domande.
“Tera, ci sono delle cose che non mi riesco a spiegare: so di comprendere ancora poco a fondo tutto questo, ma se mi fornissi alcune spiegazioni mi sentirei più...come dire? Confortata? Insomma: finora ti ho seguito, e ti ho dato fiducia, ma adesso ho bisogno di sapere qualcosa di più”.
“Ti avrei spiegato tutto fin dall'inizio se ci fosse stata l'occasione, ma siamo dovute scappare, in silenzio, e per questo non ho potuto essere più chiara. Tutt'ora ci troviamo in una situazione pericolosa: l'impero o le forze oscure potrebbero individuarci da un momento all'altro e tenderci un agguato. Nonostante ciò, se hai bisogno di altri chiarimenti, oltre a quelli che ti ho già dato, sono pronta a risponderti come meglio posso”.
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“Bene” cominciò Juneh, “volevo sapere come fate, sia voi, che l'impero, che le forze oscure, a conoscere l'identità di noi prescelti, e inoltre volevo capire...insomma...da che fonti proviene questa notizia della possibile distruzione del mondo? Cioè, che significato ha? Come dovrebbe funzionare? Cosa c'entriamo noi con tutto questo? Come possono persone come me o Sophie scatenare un simile evento?” .
“Comprendo le tue perplessità: le persone che non sono abituate a questi concetti possono provare grande confusione nel doverli interpretare. Cercherò di spiegarti: esistono degli specchi, che con una precisa periodicità proiettano le immagini dei prescelti: sono come degli occhi, che individuano determinate persone, e mostrano le loro azioni in tempo reale, proiettandole sulla loro superficie. Si pensa che esistano tre di questi specchi, e che siano in possesso di noi custodi, dell'impero, e delle forze oscure. I prescelti vengono inquadrati una sola volta, ed è su quelle poche immagini che si basano le nostre ricerche: nel tuo caso, sono state le forze oscure ad arrivare per prime”.
“E hanno catturato Sophie” la interruppe Juneh.
“Esatto. Non hanno preso te perché ti hanno creduta morta. Tuttavia, sia noi custodi, che l'impero, abbiamo preferito controllare che fosse davvero così, e, per fortuna, a quel punto ti ho trovata io”.
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“Interessante. In un certo senso avevo immaginato si trattasse di qualcosa del genere. Per quanto riguarda quello che dicevi sulla fine del mondo, invece? Qual è il fatto?”.
“Tutto ciò che sappiamo deriva da delle antiche scritture, che sostengono che gli specchi siano in realtà delle porte comunicanti con un altro mondo, e che, se aperte, potrebbero causare la distruzione di ogni forma di vita. L'unico modo per aprire questi varchi sarebbe portare uno dei prescelti al loro cospetto”.
“Ah, ecco spiegato il perché della nostra importanza. Ma allora per quale motivo l'impero e le forze oscure vogliono catturarci? Intendono distruggere tutto?”.
“No. La lingua in cui la profezia della distruzione è scritta non è stata ancora decifrata con precisione, e, per questo, di essa esistono differenti interpretazioni. Pare che i ricercatori imperiali sostengano che dietro lo specchio si celi un qualche tipo di potere assoluto. Non sappiamo invece quali siano gli obiettivi delle forze oscure: in realtà, su di loro, nessuno sa molto”.
“Che situazione complicata. Quindi, a quanto pare, nessuno sa con esattezza cosa si trovi aldilà degli specchi, o sbaglio?”.
“Noi custodi sosteniamo che l'interpretazione degli scritti sia univoca, e crediamo che aprire i portali sigillati negli specchi possa in ogni caso essere molto pericoloso”.
“A giudicare dal modo in cui ci danno la caccia, però, anche gli altri sembrano convinti della veridicità delle loro interpretazioni”.
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“E' evidente che non hanno la nostra stessa competenza nel campo, e che le loro conoscenze non sono al nostro livello”.
“Potrebbe anche darsi. Certo che è così strano: io ancora non riesco a credere a tutto quello che sta accadendo”.
“Juneh, lo comprendo: ti stai confrontando con forze ed eventi che sarebbero capaci di sopraffare qualsiasi essere umano. Tu continua a fidarti di me: è l'unico consiglio che in questo momento riesco a darti”.
“Lo so, tranquilla” tagliò corto lei.
“Bene, adesso, visto che ci siamo, svegliamo quella ragazza, e iniziamo a incamminarci: la strada è ancora lunga” disse Tera, per poi rientrare nell'edificio.
Juneh salì le scale fino ad arrivare alla camera che aveva condiviso con Tera e Helis: quand'era scesa, lei stava ancora dormendo, ma era già passato un po' di tempo, e si aspettò di trovarla sveglia. Bussò, ma non ottenne risposta. Aspettò, ma non successe nulla, quindi bussò ancora. Niente. Decise allora di accostare l'orecchio alla porta, e quasi rabbrividì nell'udire un pianto sommesso.
'Oh, dei' si disse, indecisa sul da farsi, 'Tera mi ha chiesto di farla sbrigare, ma non posso di certo ignorare questa situazione. Ha perso suo cugino. E' una cosa orribile'.
Mise una mano sulla maniglia, e si accorse che la porta era aperta. La dischiuse appena, e scorse subito Helis. Il visino della ragazza era umido di lacrime, e infiammato di dolore.
“Ciao” la salutò Juneh, accompagnando alle parole un timido gesto.
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Si sentì terribilmente a disagio.
“Fu...Futura” biascicò a stento Helis, continuando a singhiozzare.
Juneh, titubante, fece qualche passo verso il suo letto, poi vi si sedette sopra.
Passò del tempo prima che Helis riuscisse a pronunciare delle parole comprensibili.
“Futura, grazie per avere provato a salvarlo”.
Juneh si rabbuiò, quindi rispose “non è il caso di ringraziarmi: non sono riuscita a fare molto”.
Senza preavviso Helis l'abbracciò, stringendola forte a sé. Lei, imbarazzata e impietosita, non poté fare a meno che contraccambiare il gesto.
“Dan era una brava persona. Ha fatto molto per me. Lui, voleva soltanto che vivessi una vita migliore” continuò Helis, per subito scoppiare a piangere.
“Certo” mormorò Juneh, reggendole la testa nel tentativo di consolarla.
“Adesso potrei tornare a casa, e avvertire mia madre di quello che è successo, ma sarei di nuovo sola. No, Dan voleva portarmi a destinazione all'accademia. Io ci devo andare, per rispettare i suoi sforzi. Ma mi sento così confusa. Adesso non ho più nessuno”.
“Perché non vuoi tornare da tua madre?”.
“Perché” cominciò, tirando su col naso, “lei non mi vede di buon occhio, da quando è stato arrestato mio padre. E poi, Dan avrebbe voluto che vivessi all'accademia. Andare a Serafari è la cosa giusta da fare”.
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“E allora ci andremo. Non so per quanto potremmo accompagnarti io e Tera, ma per ora siamo qui, e puoi contare su di noi. Ti accompagneremo, non ti preoccupare”.
“E, arrivati lì, mi aiuterai a scrivere una lettera a mia madre, per spiegargli quello che è successo?” detto ciò, ricominciò a piagnucolare.
“Sì” rispose Juneh, incerta, nervosa, “lo faremo, stai tranquilla. Sai, anch'io sto attraversando un periodo piuttosto pesante, e lo so: è brutto quando le poche persone su cui puoi contare vengono meno”.
“Anche tu hai perso qualcuno?”.
“Sì. Ma è stato tempo fa. Adesso sto cercando la mia amica scomparsa, l'unica amica che mi è rimasta”.
“Spero tu possa trovarla”.
Juneh le rivolse uno sguardo, come per ringraziarla per l'augurio, ma non disse niente. Rimasero ancora un po' a parlare, poi, quando Helis si sentì meglio, prepararono le loro cose e scesero.
In breve furono pronte per partire: si ritrovarono alle porte del villaggio, insieme ai due lamu che Tera aveva acquistato il giorno prima, e alle provviste che erano riuscite a racimolare.
“Spero tu sappia come cavalcare un lamu” disse Tera, rivolta alla giovane Helis.
“Sì, so farlo” rispose la ragazza bionda.
“Bene. La pianta che cresce sul dorso del tuo lamu è diversa dalla nostra: se dovessi trovarti scomoda, metti sotto di te una borsa vuota” le consigliò Tera, salendo in groppa alla sua cavalcatura.
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Helis osservò il dorso dell'animale che avrebbe dovuto condurre per i caldi sentieri del deserto: le foglie della pianta che vi cresceva sopra erano oblunghe, appuntite, e ruvide al tatto.
'Quelle foglie non sembrano per nulla accoglienti' pensò Juneh, seduta dietro Tera, 'sono sicura che Tera abbia preferito preoccuparsi del prezzo dell'animale, piuttosto che della sua comodità. Però avrebbe almeno potuto comprarle una sella. Povera ragazza: dovrà farsi tutta la strada stando seduta su quelle cose'.
Il viaggio cominciò senza che nessuno facesse particolari obiezioni. Decisero di proseguire lungo il sentiero che attraversava il deserto verso sud-est, e che in alcuni punti era delimitato da grosse pietre conficcate nella sabbia. Raggiunta una certa distanza avrebbero abbandonato la strada battuta, e proseguito tra le dune, per essere meno visibili. A Helis dissero che l'avrebbero fatto per risparmiare tempo.
“Questo sentiero è molto antico, e non tiene conto delle città sorte da poco come Serafari” spiegò Tera.
'E' vero, oppure lo dice solo per non far sorgere dubbi a Helis?’ si chiese Juneh, ‘in ogni modo lei sembra darle fiducia: in realtà chiunque gliela darebbe non conoscendo la zona'.
“Allora, Helis, come mai vai all'accademia di Serafari?” chiese Tera.
“Per imparare le arti mentali” rispose secca lei.
“Fantastico! E sai già fare qualcosa?” chiese Juneh, incuriosita.
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“Diciamo...ho una certa predisposizione per le evocazioni”.
“Davvero? A quanto so, non sono molti i maghi capaci di evocare” disse Juneh.
“Sono pochi, è vero” cominciò Tera, “l'evocazione è una tecnica impossibile da apprendere se non si ha un'innata propensione: è un dono di natura”.
“Wow, interessante. E cosa evochi?” chiese Juneh.
“Per adesso solo gatti neri, ma non sempre ci riesco...” rispose Helis, senza distogliere lo sguardo dalle redini del suo lamu.
“Bisogna esercitarsi per migliorare questa capacità: il gatto nero è una delle evocazioni base, ma con l'esperienza si possono riuscire a evocare le creature o gli oggetti più disparati” disse Tera.
“Ti auguro di riuscire a diventare brava! Comunque, almeno, ora so a chi rivolgermi quando vorrò un cuccioletto” scherzò Juneh.
Helis accennò a una risata, poi continuò a badare alla strada.
'Anche se le sue battute sono pessime, Futura sembra davvero una persona gentile' pensò, 'è stata una fortuna averla incontrata'.
Quand’ebbero percorso un paio di leghe, arrivarono in prossimità di un picco roccioso circondato da folta e rigogliosa vegetazione. Alle sue pendici sorgevano delle rudimentali costruzioni.
“Quella dev'essere la fonte di Carmal: la leggenda racconta che il vecchio pastore Carmal, peregrinando per queste terre, scoprì per primo la sorgente d'acqua nascosta ai piedi del monte, e la usò per dissetare il suo bestiame. Adesso la sorgente è di proprietà imperiale, e per attingervi bisogna pagare una tassa. Per fortuna abbiamo riempito le borracce prima di partire, quindi non abbiamo bisogno di avvicinarci” disse Tera.
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“Peccato: non capita spesso di vedere un posto così” disse Juneh.
Tempo dopo, quando entrambi i soli si trovavano ormai alti nel cielo, incontrarono sul sentiero un uomo a cavallo di un echinosauro.
“Salve, gentili e graziose viandanti” disse, con in volto un sorriso smagliante.
Era piuttosto giovane, indossava un paio di occhiali spessi, un completo color sabbia, e sembrava sopportare di buon grado il peso del grosso zaino che teneva sulle spalle.
“Salve anche a lei. Scusi, ma andiamo di fretta, non abbiamo tempo per gli acquisti” rispose subito Tera, senza fermarsi.
“Oh, che perspicacia...ha capito subito che volevo venderle qualcosa: per questo sembra proprio il tipo di persona capace di utilizzare al meglio la mia pratica «guida alla fauna di Barinarmogomothuliebnekraptzschyuphèberker» (è il nome del continente)” iniziò l'uomo.
“Guardi, non ci interessa” lo interruppe Tera.
Juneh rimase colpita dalla cavalcatura dell'uomo: l'echinosauro. Era certa fosse l'essere più sgraziato che avesse mai visto: si trattava di un grosso rettile, di colore verde spento, dal corpo tozzo, e possedente quattro robuste e corte zampe; in basso, ai lati del capo ossuto, si potevano individuare i due piccoli occhi rossi, mentre sul dorso disponeva di un lucido carapace, un guscio che comprendeva tutta la metà superiore del corpo, e all'occasione fungeva anche da sella.
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“Ascoltatemi almeno un attimo: non ve ne pentirete!” cominciò l'uomo, istigando l'echinosauro a tenere il loro passo, “quella che vi offro è una guida completa e dettagliata, provvista di disegni molto accurati di tutte le specie più pericolose di queste terre: non posso permettere che tre belle ragazze come voi attraversino il deserto senza una di queste” disse, sventolando un piccolo tomo cartaceo.
“Ah, è per giunta di carta? Non abbiamo abbastanza rupie per pagare un libro” disse Tera, con lo sguardo già rivolto altrove.
“Ma questo è economico: è papiro grezzo, rilegato, non si tratta di materiali pregiati. Il prezzo è di sole ventotto rupie!” disse l'uomo.
“Ventotto rupie sono troppe, mi dispiace” tagliò corto Tera.
“Solo per voi, in questa situazione, sono disposto ad abbassare il prezzo fino a venti rupie tonde tonde: è un vero affare”.
Juneh gettò uno sguardo all'uomo: se avesse avuto delle proprie rupie con sé, avrebbe anche potuto acquistare il libro, ma, visto che era Tera l'unica a possederne, stava a lei decidere.
“E' pieno di informazioni utili, per riconoscere anche le creature più infide” ricominciò l'uomo, “sapevate per esempio che gli scafazzacristiani dispongono di muscoli portentosi? Per sollevare il peso del loro duro esoscheletro hanno bisogno di enormi quantità di energia, infatti non smettono mai di cacciare. Inoltre, per risparmiare le fatiche cercano di muoversi il meno possibile: è per questo che preferiscono mimetizzarsi tra le rocce e catturare soltanto le prede che vi si avvicinano. Ovviamente il loro colore, così simile a quello della sabbia, li aiuta a dare meno nell'occhio. Bisogna stare molto attenti alle grandi rocce di forma conica: potrebbero non essere quello che sembrano!”.
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Tera non rispose: sembrava avesse deciso di ignorarlo.
“Oppure” continuò l'uomo, “sapevate che la vita dei metauri si divide in tre fasi, durante le quali la creatura assume forme del tutto differenti? Si parte dallo stadio larvale, durante il quale l'essere è onnivoro, e non rappresenta una grave minaccia per l'uomo; in seguito, quando la creatura si rende conto di avere ingerito abbastanza cibo, e di essere cresciuta a sufficienza, cerca un posto riparato, in genere una grotta, dove imbozzolarsi, e trasformarsi in pupa; in questa fase l'essere vive del tutto immobile per circa un mese, fin quando la crisalide si schiude, e da essa esce il metauro adulto, carnivoro e imponente. Questa creatura potrebbe sembrare un devastante predatore, ma, in realtà non lo è: la sua mole serve soltanto a proteggere le uova, e non a cacciare grandi animali. E' comunque sconsigliato avvicinare una di queste creature, poiché un solo loro attacco potrebbe risultare fatale. E sapete inoltre che il corpo degli antichi echinosauri era in principio ricoperto di aculei? Sembra che gli echinosauri col dorso arrotondato siano nati soltanto quando l'uomo ha cominciato a utilizzarli come mezzi di trasporto”.
“La ringraziamo davvero per queste informazioni” lo interruppe Juneh, in tono pacato, “ma non abbiamo intenzione di comprare il suo libro. Può provare ad andare alla fonte di Carmal: basta proseguire sul sentiero, non è distante da qui. Lì ci sono sempre molte persone, ed è probabile che qualcuno voglia acquistare la sua guida”.
L'uomo sembrò interdetto: si passò una mano tra i capelli, sbuffò, diede un'occhiata dietro di sé, poi disse “va bene. E' stato comunque un piacere”, e andò via.
Tera si voltò, scrutò l'orizzonte frastagliato da alcuni picchi rocciosi, poi rivolse a Juneh uno sguardo indecifrabile.
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“Venti rupie non sono poi così tante” disse Juneh.
“Forse, ma non ci serve una guida” disse Tera.
“D'accordo”.
Non passò molto tempo da allora a quando curvarono fuori dal sentiero. La zona nella quale si ritrovarono continuava ad essere sabbiosa, ma intervallata da sporadiche macchie di vegetazione, e formazioni rocciose, talvolta piuttosto alte.
“Quella è una crisomea” pensò a voce alta Tera, quando notò una pianta sottile, dal fusto molto alto, coronata all'apice da un fiore spigoloso di colore rosso e giallo.
“Bella” disse Juneh.
“Utile anche: dalla sua linfa si possono ricavare delle efficaci sostanze curative” disse Tera, scesa dal lamu per raccogliere la pianta e chiuderla in un ampolla.
“Certo che voi alchimisti dovete saperla lunga su queste cose...” commentò Juneh.
Tera le rivolse uno sguardo che poteva voler dire “smettila di rivelare informazioni in presenza di Helis”, poi si rimise in sella, e il viaggio poté continuare come se nulla fosse successo.
Superato un certo punto, il terreno cominciò a diventare più scuro, come se fosse stato smosso.
“Come facciamo a sapere se stiamo andando nella direzione giusta?” chiese Juneh, a un tratto.
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“Tranquilla, non ti preoccupare: sono abituata a orientarmi da queste parti. Vedi quella roccia? E' il segno che manca poco a Serafari” disse Tera.
Juneh osservò la conformazione rocciosa indicata da Tera: non le sembrò affatto un utile punto di riferimento, piuttosto una roccia come tante altre.
“Se lo dici tu...”.
All'improvviso il terreno attorno a loro cominciò a incresparsi, come animato da forze celate al di sotto della sabbia.
“Che succede?” chiese subito Juneh, impallidita.
“Temo che abbiamo invaso il territorio di alcuni tarmarok” disse Tera.
“Cos'è un tarmarok?” chiese Juneh, allarmata.
Appena finì la frase, un essere vermiforme, dal corpo segmentato e corazzato, sbucò fuori dalla sabbia per mordere una delle zampe anteriori del loro lamu. Juneh e Tera caddero a terra, ma fecero il possibile per rialzarsi subito. Helis, disorientata, ordinò alla sua cavalcatura di avvicinarsi a loro.
“Va bene: fai finta che non te l'abbia chiesto” esclamò Juneh, trattenendo il fiato tra una frase e l'altra.
“Dobbiamo difenderci con le nostre forze ora che siamo qui! Se non lo facciamo, questi esseri ci fanno a brandelli!” esclamò Tera, sfoderando dalla tunica due sfere infiammabili.
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“Mai un viaggio tranquillo, non è vero? E tu che mi dicevi di stare attenta alla volpe...” disse Juneh, afferrando il manico della sua spada.
Nel frattempo altri tarmarok erano usciti allo scoperto, e avevano cominciato a smembrare lo sfortunato lamu con le loro mandibole simili a grosse tenaglie.
“Dobbiamo stare attente soprattutto a non farci attaccare da sotto” disse Tera, e lanciò le due palle infuocate contro il cadavere del lamu, ormai attorniato da una decina di creature.
L'esplosione di fiamme danneggiò il branco di tarmarok: tre morirono scottati, altri quattro si ritirarono sottoterra. I rimanenti avanzarono verso Tera.
Juneh si fiondò a spada tratta contro di loro.
“Non ti preoccupare: ci penso io!” esclamò.
Con il primo fendente riuscì a dividere a metà uno dei tarmarok. Il secondo colpo, invece, andò a vuoto, e con il successivo scalfì soltanto la dura corazza di una delle creature.
Nel frattempo, Tera estrasse dalla sua veste una boccetta stracolma di un liquido rosato, e la stappo’.
“Meglio se torni indietro: ho un'idea!” le disse Tera.
Tramite la forza del pensiero, cosparse con il contenuto dell'ampolla gran parte del terreno circostante al gruppo di creature più numeroso, quindi usò i suoi poteri per dar fuoco a quello che si rivelò essere un infiammabile. Un'esplosione di lingue ardenti investì le creature, e le carbonizzò. Juneh fu costretta a indietreggiare di molti passi per non essere scottata.
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Intanto, altri esseri erano emersi, e avevano attaccato il lamu di Helis. Lei, che era riuscita a scendere in tempo, cominciò subito a preparare il contrattacco: arretrò fino a un posto più sicuro, poi chiuse gli occhi, chinò il capo, e incrociò le dita in una particolare posizione. Pochi attimi dopo, l'aria davanti a lei si confuse in un frenetico vorticare di colori, per concentrarsi infine in uno specifico punto, dal quale, poco dopo, emerse una sinuosa creatura dal pelo nero: era alta più della metà di un uomo in piedi, possedeva micidiali zampe artigliate, grandi occhi verdi con pupille come fessure, e costole molto evidenti al di sotto della pelle scura, che contribuivano a conferirle un'aria spettrale. Senza perdersi in indugi, il gatto nero evocato da Helis attaccò le creature: i suoi agili colpi d'artigli riuscirono a penetrare le difese dei tarmarok.
Juneh si avvicinò per darle man forte: trafisse due delle creature con l'affilatissima lama, poi arretrò verso Helis, per proteggerla mentre comandava il gatto.
“Queste creature cominciano a diventare fastidiose” esclamò Tera, correndo in aiuto delle due, “penso sia il caso di finirla qui!”.
Poggiò le mani a terra, nello spazio tra Juneh e Helis. Entrambe si chiesero cosa stesse tentando di fare, ma presto notarono qualcosa di strano nella sabbia attorno a loro, e capirono che doveva trattarsi del suo asso nella manica: i granelli avevano cominciato a rimescolarsi, per poi fondersi tra di loro, e diventare liquidi.
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“Se muovo a gran velocità le minuscole particelle di silice che compongono la sabbia posso alzarne la temperatura fino a raggiungere il punto di fusione. Non solo le creature sottoterra risentono dell'elevatissimo calore, ma, se poi smetto di somministrare energia cinetica, ottengo come risultato una prigione di vetro, in cui i tarmarok rimarranno intrappolati per sempre” spiegò Tera, rialzandosi in piedi per osservare le creature contorcersi nel vetro fuso.
Il gatto nero balzò via dall'area interdetta, e fuggì lontano dal controllo di Helis. Poco dopo il vetro si raffreddò, e anche l'ultimo tarmarok rimase senza via di scampo.
'Ma certo: il vetro si ricava dalla fusione del silicio' pensò Helis.
“Complimenti” disse Juneh, compiaciuta, ma al tempo stesso spaventata.
Quando sembrava ormai che la tranquillità fosse tornata a regnare su quel tratto di deserto, altri tarmarok uscirono a frotte dalla sabbia lontana, e cominciarono a strisciare sul vetro in superficie per raggiungerle.
“E ora?” chiese Juneh.
“Non saprei” rispose Tera.
Helis, senza dire una parola, si preparò per un'altra evocazione. Riapparì il vortice di colori, ma, stavolta, da esso non sbucò fuori un gatto nero, bensì una creatura di colore scuro, violaceo, dalla testa liscia e bombata, e dalla consistenza gommosa, dotata di otto tentacoli sinuosi ricoperti di ventose.
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“Opsss” esclamò Helis, “ho sbagliato l'evocazione: è un polpo”.
Sia Tera che Juneh osservarono il piccolo essere fuori dal suo naturale contesto dimenarsi sul vetro per qualche secondo, poi rivolsero di nuovo lo sguardo all'orda di tarmarok che li aveva ormai accerchiati.
“Dobbiamo fare qualcosa” esclamò Juneh, pronta a usare la spada.
“Non possono essere infiniti!” disse Tera, preparando altre palle di fuoco.
“Nemmeno noi possiamo resistere all'infinito” rispose Juneh.
“Qualcosa dal cielo ci sta venendo incontro” osservò Helis, che rivolgeva loro le spalle.
Le due si girarono e videro ciò che stava accadendo.
“Una fenice!” esclamò Tera, “infatti, l'avevo capito che stavano per arrivare i rinforzi”.
L'enorme rettile alato dalle piume rosse e gialle cominciò a volare attorno a loro. I due custodi che si stavano occupando di cavalcarlo cominciarono a lanciare sfere infuocate contro i tarmarok. Allo stesso modo fecero altre due coppie, che entrarono in scena a cavallo di altre due fenici. La forza congiunta degli attacchi dei custodi e della spada di Juneh riuscì a sfoltire il campo dalle creature. Grazie a ciò, le tre fenici poterono ben presto atterrare sulla sabbia, ammortizzando l'impatto con le loro possenti zampe artigliate.
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“Dobbiamo subito salire sulle fenici, per dirigerci alla fortezza” disse Tera.
“Cosa? Salire su quei cosi? Ora?” disse Juneh, sconvolta, “e Helis? Dovevamo condurla fino a Serafari”.
“Temo non ci sia tempo” le incalzò Tera, “rimanderemo a dopo, quando saremo in condizioni più sicure. Adesso, per favore, salite: a dopo le spiegazioni”.
Helis, turbata, rivolse a Juneh uno sguardo perplesso.
“Che sta succedendo?” le chiese.
“Non pensare che io ne sappia molto più di te” rispose lei, “visto che i lamu sono morti, ti conviene in ogni caso venire con noi: non puoi rimanere in mezzo al deserto da sola”.
“Presto!” le incitò Tera, che aveva afferrato la scaletta di legno e corda lanciatale dalla sommità di una delle fenici.
“Credimi: anch'io mi ritrovo in una strana situazione, ma, finora mi sono fidata di Tera, ed è andato tutto bene” disse Juneh.
“Sì, ma...Futura, non capisco...che cosa sono quelle creature, e dove dovrebbero portarci?” chiese Helis, nel tentativo di dare al caos della sua mente la forma di parole.
“In realtà” cominciò Juneh, “ci sono un po' di cose che dovresti sapere...”.
 
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